Il Cammino di Santiago tra emozioni e spiritualità (2° parte)

Continua con questa seconda e ultima parte il Cammino di Santiago, con l’intenzione di mettere in luce il percorso esistenziale ed intimo che questo “viaggio”,spesso, presuppone. Ci sono stati movimenti difficili da affrontare durante questa esperienza vissuta in solitaria? “Devo confessare in tutta onestà che dopo le prime due tappe, avendo saputo che c’era un servizio che trasportava gli zaini,  da una tappa all’altra, me ne sono servita anch’io. Diversamente se avessi dovuto fare tutto il cammino con la “mochila” in spalla non ce l’avrei fatta. Era troppo pesante per me e poi mi toglieva il fiato, soprattutto nelle salite e nelle discese mi destabilizzava l’equilibrio. Detto questo, è stato duro e difficile ugualmente, più di 700Km., percorsi tutti a piedi non sono uno scherzo! Sei esposto alle intemperie: sole, vento, pioggia. Per mia fortuna, sì, è piovuto, ma con giudizio. Quando ero già oltre Santiago, verso Finisterre, pioveva “a torrenti” e abbiamo saputo che la Meseta era ridotta ad un acquitrino, tanto che l’acqua arrivava alle caviglie, quindi impraticabile. E se ti piomba addosso improvvisamente un acquazzone del genere i problemi non sono indifferenti, lo testimoniano anche le diverse croci lungo tutto il cammino di pellegrini, che per qualche motivo lì sono rimasti per sempre.  La mia amica che già dalle prime tappe ha sofferto di una brutta tendinite e non solo quello, stoicamente ha resistito fino alla fine e in alcune tappe è stata aiutata a portare lo zaino dagli amici con cui si era legata. Anche un brasiliano con il quale ci incontravamo spesso, è stato colto da febbre ed è rimasto a letto un paio di giorni e si è portato dietro una brutta tosse e raucedine fino alla fine. Anch’io ho rischiato di raffreddarmi, ma ero munita di tutti i miei rimedi “taumaturgici”, per cui sono passata indenne. Mi sono rovinata gli alluci il giorno in cui ho avuto la bella idea di indossare un paio di scarpe che avevo acquistato per la pioggia, poco tempo prima di partire e quindi non erano “testate”. Un errore che ho pagato per diversi giorni. L’ultima settimana è stata ogni giorno sempre più pesante: le capacità di recupero si stavano esaurendo, in più il male alla caviglia aggravava la situazione. Arrivata a Santiago ero ridotta ai minimi termini. Se avessi dovuto camminare ancora un giorno o due, non so cosa sarebbe successo. Fortunatamente era finita, con il plauso di altri pellegrini con i quali ci siamo incontrati e siamo arrivati insieme alla meta. Attraversare Santiago è stato allucinante. La cattedrale non arrivava mai, ma quando la trovi di fronte l’emozione è fortissima, devo dire che quasi tutti piangono. Anche il giorno dopo alla messa del pellegrino del mezzogiorno ho visto tanti occhi umidi ed è stato bellissimo ritrovare quella folla di persone di tutto il mondo, bella, ripulita, con le scarpe linde, come se fossero nuove, vestite a festa, come alla messa delle undici della domenica, radunata in quella cattedrale, in quella città che secondo me è il “simbolo”. 

cammino di santiago

Cosa ti hanno lasciato dentro come “eredità sociale” i pellegrini che hai incontrato nel cammino? “Mi è sempre piaciuto mescolarmi ad una folla eterogenea, mi fa sentire cittadina del mondo. E tutto il mondo era lì a compiere le stesse cose con un obiettivo comune. Mi spiace solo che la mia poca conoscenza delle lingue non mi abbia consentito di avere delle conversazioni più approfondite, come invece avrei proprio voluto. Posso dire che anche senza dialogare, mi sono fatta degli amici di varie nazionalità e quando ci incontravamo loro per primi mi salutavano chiamandomi per nome, dimostrandomi simpatia e solidarietà. A volte, però, non c’era nemmeno bisogno di parlare, bastava salutarsi e sorridersi per tessere un legame sottile di amicizia, come è successo con una signora (anche lei sola) che arrivava da Toronto:praticamente abbiamo percorso tutto il cammino insieme senza mai parlarci. Ci siamo ritrovate dopo Santiago dove ci eravamo perse di vista, sul bus per Muxia, l’ultima tappa e lì seguendo un “moto interiore”, ci siamo avvicinate e parlate per la prima volta. Poi alla fine prima di tornare, lei ha voluto fare una fotografia insieme, cosa che ho fatto anch’io, dicendomi “my friend”. Bello e particolare,no? Devo dire che nel cammino si respira un’aria di reciproco rispetto. Tutti siamo coscienti di compiere una cosa dura e difficile ma bellissima, che lascerà un segno dentro di noi. Qualcosa da portare a casa nella mente e nell’anima. Qualcosa da sedimentare ed elaborare nel tempo.” Quale testimonianza spirituale hai ricavato da questa esperienza di vita? “Sono battezzata ma non sono praticante. Mi sono formata delle opinioni diverse da quelle che mi sono state insegnate pur riconoscendo e stimando le parole e gli insegnamenti di Gesù Cristo. In un certo senso quando sono partita, avendo dedicato il cammino a mia mamma. Sinceramente mi aspettavo una piccola illuminazione, un segno, ma questo non è arrivato ed ho capito che la fede, come la intende la religione o ce l’hai o non ce l’hai. Non basta fare il cammino di Santiago per far scoccare la scintilla. Sono entrata nelle grandi cattedrali, stupende. Ho ascoltato le messe, ma devo dire che non mi hanno coinvolta più di tanto. Quello che mi è piaciuto di più è stato entrare in quelle piccole chiesine lasciate aperte con un tavolino, dove sopra si trovava il timbro da mettere sulla credenziale e per questo lasciare una piccola offerta non richiesta, ma comunque gradita. E in quelle piccole chiese ho recitato il Padre Nostro, preghiera che mi è diventata cara da quando, prima ed unica volta nella ma vita, mi è sgorgata dal cuore, recitandola insieme al sacerdote, in un momento precedente, quello dell’estrema unzione praticata a mia mamma che si trovava in stato di coma.Quello in cui credo fermamente è nella positività del pensiero, in quell’energia cosmica che ci rende un tutt’uno con l’universo intero. Non sono attirata dal buddismo o altre religioni. Quello che ho capito, quando in primavera sono stata in India, è che recitare un mantra (molto bello) o un Salve Regina (tanto per citare una preghiera), non cambia, quello che conta è l’intenzione, il fervore che uno ci mette. La scintilla è dentro di noi. Nel nostro intimo più profondo e più sconosciuto. Io mi ritrovo nello Zen, dove il tutto è nulla ed il nulla è tutto. Sento di sprofondare in queste parole e vorrei chiudere con un pensiero che ho formulato in quella notte stellata: “Mi iglesia è un cielo inondato di stelle, il mio Dio è perso nell’infinito”.