La creatività in cucina: i 3 piatti italiani nati “per errore”
“Fare un errore diverso ogni giorno non è solo accettabile, è la definizione di progresso” (Robert Brault)
Ho trovato estremamente costruttiva la lettura di un dossier all’interno di una nota rivista di viaggi e tendenze, che ha voluto porre l’attenzione sull’errore, non necessariamente visto sempre come un semplice sbaglio. Il coraggio che accompagna l’azione, la creatività che viene sostenuta al di sopra di ogni logica, l’azzardo, la sperimentazione per trovare nella sfida con se stessi, risposte alternative, incredibili, inusuali e indimenticabili, si materializzano anche tra i fornelli.
Questo accade, infatti, proprio nel regno della cucina stellata e non, dove “la svista è spesso considerata quasi una manifestazione del demonio”. L’errore non contrasta la perfezione, anzi a volte potrebbe esaltarne la qualità, rompendo i canoni della fisica e della chimica e proponendo soluzioni inattese. Lo stesso filosofo Karl Popper postulava lo sbaglio come elemento determinante della conoscenza scientifica, attribuendogli un valore interessante. In cucina, così come in ambiti diversi del quotidiano, l’errore è diventato spesso fonte di ispirazione. Ingredienti sbagliati, ricette modificate in itinere, sono diventati alcuni dei piatti della nostra tradizione classica, ad opera di personaggi insoliti, addetti ai lavori e non, che non si sono mai lasciati intimorire dal cambiamento. Sono quelle persone definite da Cristiano Tomei, guru creativo tra gli chef del nostro Paese e non solo, come “gente la cui creatività dipende molto dalla casualità. E dal cuore”. E da qui nasce inevitabilmente la riflessione successiva, sul fatto che proprio la creatività possa essere frutto del caso e quindi di un sostanziale e concreto errore.
Ma quali sono i 3 piatti storici che possiamo annoverare tra i possibili errori in cucina?
1. Risotto alla milanese. “Nato da un errore nel 1574. Il maestro vetraio Valerio Perfundavalle era impegnato in Duomo, nel completamento della vetrata di Sant’Elena. Solito aggiungere un po’ di zafferano ai proprio colori….un giorno avrebbe urtato il barattolo della spezia, mandandolo a finire nella pentola del riso”. Secondo altri fu il garzone del vetraio, fatto sta che il risultato non cambia. Inizialmente piatto aristocratico, visto che la polvere gialla era (ed è) decisamente costosa.
2. La farinata. Secondo la leggenda, “all’origine di questa prelibatezza ligure ci sarebbe un’errata valutazione da parte di un gruppo di marinai, al termine di una tempesta intorno al 1200. La loro nave fu così sballottata da causare la rottura dei barattoli di ceci che trasportava: i legumi vennero come shakerati con l’acqua marina…Quando tornò il sereno si era creata una purea…cotta al calore dei raggi. L’assaggiarono ed era buonissima”. Sulla veridicità di questa storia ci sono ovviamente molti dubbi, come la mancanza di altri ingredienti importanti come l’olio extravergine e il rosmarino.
3. La torta caprese. “Deve aver sudato freddo il pasticcere caprese Carmine Di Fiore quando si accorse di aver dimenticato di aggiungere la farina nell’impasto della torta di mandorle e cioccolato che stava preparando per alcuni scagnozzi del celebre gangster Al Capone….Era il 1920 poteva essere un disastro culinario e un rischio serio per la pelle del povero Di Fiore”. E invece ne è nato un dolce buonissimo e unico nel suo genere, croccante e morbido allo stesso tempo, che squisitamente incarna lo spirito di Capri, lì dove è nata.
Sempre secondo Tomei è nel DNA degli italiani la possibilità creativa di commettere errori “Abbiamo sperimentato di tutto, sbagliando, ma poi imparando”.
Un’emozione e una crescita continua in cucina e non solo.