L’enigma di Napoli

Ci sono città che si insinuano in un posto dell’anima, quasi introvabile e poi restano lì, immobili, silenziosamente in attesa di essere riportate alla mente. Napoli è cosi. E’ incisa, marchiata, in me, profondamente, nonostante le sue contraddizioni, il suo disordine ritmico, il suo caotico splendore di sempre. Un’antica leggenda sulla sua origine è legata alla sirena Partenope che, fuggendo dalla Grecia, trovò riparo su questa terra, dove, però, si lasciò lentamente morire, per non essere riuscita conquistare il cuore di Ulisse. Storicamente parlando, invece, la sua fondazione è legata ad alcuni coloni greci che, intorno al IX sec. a.C., giunsero qui dall’isola di Rodi fondando il loro centro abitato sulla collina di Pizzofalcone, che si univa al mare con il porto, dove adesso si trova Castel dell’Ovo. In seguito venne ricostruita quasi interamente dai Cumani (VII e VI sec) e il nuovo insediamento si chiamò Neapolis, città nuova. Tra le numerosissime e suggestive chiese da visitare, quella che ha suscitato in me, un’emozione senza paragoni è sicuramente la Chiesa del Gesu’ Nuovo. Sorge nell’omonima piazza, che si trova nel cuore della città ed è attraversata proprio da Spaccanapoli, la via di comunicazione più importante. Arrivarci dopo la breve salita di Calata Trinità Maggiore è un’esperienza piacevolissima. Sorprende e stupisce trovarsi al centro di questa piazza e ammirarne i deliziosi dettagli che la compongono. Al centro svetta l’obelisco dell’ Immacolata, chiamato semplicemente “Immacolatella”, a cui è legato uno strano mistero. Si dice, infatti, che in alcuni momenti del giorno, soprattutto all’alba o al tramonto, la Madonna assuma un aspetto diverso e decisamente inquietante. E’ una sensazione altamente toccante e che non lascia indifferenti: “memento mori”. Un brivido che percorre l’anima e che non cessa, finchè non ci si allontana. L’origine alchemica, magica, misteriosa e massonica di Napoli non è una novità e non dovrebbe stupire, ma questo elemento architettonico inevitabilmente, affascina chiunque vi presti attenzione. Il Palazzo dei Sanseverino, costruito per ordine di Roberto Sanseverino, principe di Salerno, nel 1470, vede nella sua facciata singolare, il suo punto di forza. Realizzata da Novello San Lucano, si presenta con un uno sfondo nero di bugnato. A guardarlo attentamente non sfuggiranno alla vista segni particolari, quasi graffiti poco comprensibili, che fanno pensare sempre di più ad un possibile linguaggio massonico o a interpretazioni magiche di difficile decifrazione.

Secondo la tradizione alchemica pare che queste incisioni avessero lo scopo di attirare influssi positivi, mentre per altri invece, i “diamanti” del bugnato emanavano energie negative, al punto di essere ritenuti la causa di vari crolli, che avevano coinvolto, in precedenza, l’intera struttura. Ma c’è di più. Oggi, grazie ad attente ricerche e a studi più approfonditi, si è arrivati a definire questa solenne facciata come un “pentagramma a cielo aperto” e soprannominandola “Enigma”. Pare, infatti, che tra questi simboli si nasconda una sorta di “musica” misteriosa, costituita da lettere dell’alfabeto aramaico, che rappresenterebbero le note musicali. Si tratta di una melodia, che si legge da destra a sinistra, dal basso verso l’alto e che è dedicata soprattutto a strumenti a plettro, come la chitarra, scoperta e interpretata dallo storico dell’arte Vincenzo De Pasquale, esperto di Rinascimento napoletano. Visitare l’interno di questa chiesa è un momento di struggente armonia interiore. Sono 3 le navate che si stagliano sulla pianta a croce greca, rivestite da un tripudio di marmi policromi. Ma ciò che maggiormente mi ha segnato il cuore è la cappella della Visitazione, dedicata a un medico, al “medico” dei poveri, dalla sensibilità e umanità prorompenti, Giuseppe Moscati. Nato a Benevento nel 1880, si laurea in medicina nel 1903 a Napoli e inizia a lavorare in diversi ospedali della città, diventando primario nel 1911. Attento, scrupoloso, umile e disponibile, così si pone con i suoi colleghi e di fronte alla stessa scienza medica: “Non lascerete di coltivare e rivedere ogni giorno le vostre conoscenze. Il progresso sta in una continua critica di quanto apprendiamo”. Approfondisce la sua professione, di pari passo alla sua formazione spirituale e accanto alla figura del Moscati uomo, si avvicina sempre di più quella di un “santo terreno”. Non è un mestiere il suo, ma una missione. Non ci sono onorari da rispettare, ma il solo compito è quello di prestare aiuto, conforto, sostegno e cura. La sua vita intensa, gratificante come medico prima e come laico-religioso, poi, si spegne troppo presto, a 47 anni, il 12 aprile 1927. Tre anni dopo le sue spoglie furono tumulate qui e nel 1987 il 25 ottobre, venne, infine, canonizzato da papa Giovanni Paolo II. Questo luogo resta ancora oggi, un continuo e silenzioso pellegrinaggio, a testimonianza di un affetto e di una devozione senza limiti e senza tempo.