Vacanze e lavoro: riflessioni sul significato del tempo
Quando si avvicina la fine di un anno, sono inevitabili bilanci e speranze che racchiudono una porzione di tempo: quella che non c’è più e quella che ancora deve esistere. A volte trovo appagante, rifugiarmi nei pensieri di chi ha dato un senso alla storia e alla cultura moderna, affidando alcune interessanti conclusioni alla filosofia, mia innegabile passione, oltre a quella dei viaggi. “Essere e Tempo” (1927) di Martin Heidegger, filosofo esistenzialista tedesco, rappresenta un punto di partenza interessante per scoprire il significato di chi siamo, del nostro agire e soprattutto del nostro agire nel e per il mondo. Linguaggio e tempo, il parlare e l’esserci sono le due condizioni determinanti che rendono autentica la nostra esistenza. “Non abbiamo tempo per dedicarci un po’ di tempo” (E. Ionesco) così spesso, la nostra vita si perde in mille percorsi che non portano alla meta, o ci stancano durante il cammino. Diversi studi sociologici e psicologici dimostrano che l’uso del tempo ai giorni nostri varia costantemente e ad esso si attribuiscono significati diversi a seconda della cultura e dello stile di vita. Tutto questo si ripercuote, inevitabilmente, nella gestione del nostro tempo libero e quindi nella scelta del “tempo” destinato alle vacanze, legato da sempre a quello occupato dal lavoro. “I confini tra vita privata e lavoro sono più labili e il modello dominante di turismo, così come lo abbiamo conosciuto fino a qualche tempo fa, sta lentamente evolvendosi” sostiene Asterio Savelli, docente di Sociologia del Turismo all’Università di Bologna. Si abbandona gradatamente la necessità della vacanza “collettiva” come quella rappresentata dal mito delle “ferie di agosto” o delle “settimane bianche”, per ricercare spazi e momenti individuali, esperienze uniche, personalizzate, lontane dalla massa di chi cerca solo un luogo in cui spostarsi. Ad agevolare questo cambiamento sono le trasformazioni nel campo del lavoro, con orari sempre più flessibili, che consentono di gestire diversamente la propria quotidianità e non solo. “Non si ha mai tanto bisogno di una vacanza, quanto nel momento in cui vi si è appena tornati” (A.Landers).
Secondo Randstad Workmonitor, il 57% delle persone risolve questioni private, come per esempio la scelta e la progettazione della sua prossima vacanza, durante l’orario di lavoro, a dimostrazione che il desiderio di viaggio, di organizzare spazi e tempi lontano da luoghi comuni e riti collettivi, è sempre più qualcosa di concreto e da non sottovalutare. Nel famoso libro edito da Einaudi “24/7. Il capitalismo all’assalto del sonno” di Jonathan Crary, scrittore e saggista americano, la visione proposta del capitalismo contemporaneo è quantomeno alienante. L’uomo vive o meglio sopravvive in un universo di “veglia” costante, dove il tempo perde significato, ma vince in assuefazione e strategie, che ne ottimizzano la dimensione. Una riflessione antropologica su quanto ci sta accadendo senza che, forse, ce ne accorgiamo davvero, inseriti, come siamo, in un ingranaggio dalla proporzioni gigantesche. La conclusione è a dir poco invitante “riposatevi”, date un senso alla vita e al tempo che scorre. Un tempo “elastico”, che si comprime e si espande, che ci offre soluzioni alternative, che è a nostra completa disposizione. L’invito è quello di riappropriarsi di noi stessi e delle nostre giornate. In fondo, saper gestire questo “tempo liquido” nel modo migliore gioverebbe anche alle aziende e ai dipendenti, che risulterebbero più presenti e produttivi, catapultandoci tutti in una nuova e più attenta dimensione del “fare vacanza”. “Diversivo, distrazione, fantasia, cambiamenti di moda, di cibo, amore e paesaggio. Ne abbiamo bisogno come dell’aria che respiriamo”.(Bruce Chatwin). Buona vita!